L’ascensore oleodinamico

L’ascensore idraulico, prima a circuito aperto e poi a circuito chiuso, già a partire dal 1892 iniziò ad avere il suo concorrente: l’ascensore mosso da un motore elettrico agli inizi a corrente continua seguito, dal perfezionamento dei riduttori a vite senza fine e corona dentata, dall’introduzione agli inizi del secolo della puleggia motrice a frizione e dallo sviluppo dei motori elettrici a corrente alternata ( dapprima ad anelli, poi con rotore in cortocircuito ).

L’ascensore elettrico nasce con grossi handicap rispetto all’idraulico: per via dello spazio limitato sul tamburo i primi ascensori elettrici non potevano essere installati in edifici alti; a questo rimediò l’invenzione di Friedrich Koepe della puleggia motrice a frizione che permetteva di abbandonare il concetto del tamburo e, tramite catene di compensazione, rendeva l’ascensore elettrico senza limiti di altezza.

Un altro handicap iniziale era la precisione di fermata e la capacità di variare le velocità, limiti che furono eliminati per esempio con l’introduzione del sistema H. Ward Leonard del motore in corrente continua a velocità variabile o dai motori in continua con sistema Shunt. Poi, lo sviluppo dei motori in corrente alternata a più velocità permise di sfruttare appieno le nuove reti di distribuzione elettrica delle grandi citta che erano passate dalla distribuzione in corrente continua alla distribuzione trifase in corrente alternata.

I vantaggi che gli ascensori elettrici hanno avuto fin da subito sono la necessità di occupare molto meno spazio e l’efficienza energetica molto maggiore rispetto agli ascensori idraulici.

Fino alla fine della seconda guerra mondiale gli ascensori elettrici la fanno da padrone riguardo agli ascensori idraulici.

Negli anni immediatamente successivi all’ultima guerra lo sviluppo degli azionamenti idraulici, l’impiego generalizzato dell’olio idraulico con eliminazione di tutti gli inconvenienti dovuti all’impiego dell’acqua, alcuni artifici costruttivi che hanno consentito di ridurre sensibilmente gli ingombri delle apparecchiature, hanno dato nuovo impulso agli ascensori che utilizzano un fluido per trasmettere potenza dal motore elettrico alla cabina. Questi, pur non utilizzando più acqua, vengono tuttora chiamati ascensori idraulici anche se, in effetti, dovrebbero essere denominati ascensori oleodinamici. L’ascensore idraulico moderno è del tipo a circuito chiuso: nella fase di salita della cabina, il fluido viene prelevato dal serbatoio e inviato, mediante una pompa, sotto pressione nel cilindro; nella fase di discesa, il liquido torna nel serbatoio per effetto dell’azione della gravità; la cabina, in genere, non è contrappesata in modo da non dover installare pulegge alla sommità del vano di corsa.

Paradossalmente gli ascensori oleodinamici del dopoguerra si trovano ad avere come vantaggio la semplicità costruttiva ed una ridotta richiesta di spazio rispetto agli ascensori elettrici. Questo fino all’ammento degli ascensori senza locale macchina MRL. L’ascensore idraulico trova impiego non solo dove sia necessario sollevare grandi portate, ma anche in edifici per abitazioni con un numero di piani non eccessivamente elevato e in tutti quei casi in cui non si hanno a disposizione gli spazi necessari per installare ascensori elettrici. La cabina, normalmente, non compie più di 6-7 fermate e si muove a velocità di 0,5+0,8 m/s, anche se non mancano realizzazioni in cui la cabina si muove a velocità superiore.

Uno dei più grandi elevatori idraulici che siano stati costruiti è quello installato nel New York Coliseum al servizio dei quattro piani della zona di esposizione dell’edificio. L’elevatore è del tipo ad azione diretta e ha una portata di 34 t. La cabina ha una superficie di 64 m2 (4,36 x 14,70 m), è alta 4,60 m, in modo da poter contenere un autocarro con rimorchio a pieno carico o uno yacht, e compie una corsa di 19,05 m; è mossa alla velocità di 0,18 m/s da tre cilindri i cui pistoni hanno un diametro di 401 mm. La pressione di lavoro è di 18,3 kg/cm2 ed è fornita da quattro pompe a viti, mosse da quattro motori da 50 HP e forniscono una portata massima di circa 4000 l/min. È da notare che, per non avere all’avviamento assorbimenti di corrente troppo elevati, i motori si avviano uno dopo l’altro con un intervallo di circa 2 s.

Lo scettro degli elevatori idraulici più grandi forse spetta ai montavagoni della Stazione Centrale di milano realizzati nel 1932 e ristrutturati negli anni 60 dalla azienda italiana COAM già Gebauer Italia; I montavagoni sono in totale 3 di due tipi:
azione diretta con 4 pistoni idraulici diam 230 corsa 7100, portata 50 t, superficie di 61m2 (14.9x 4,11 m) mossi da 4 centraline idrauliche con 5 motori per una potenza complessiva di 177 kW

azione diretta con 6 pistoni idraulici diam 280 corsa 7100, portata 50 t, superficie di 115.8 m2 (28 x 4,11 m) mossi da 4 centraline idrauliche con 5 motori per una potenza complessiva di 200 kW

Nel dopoguerra, le ragioni che spingono a scegliere un ascensore oleodinamico invece di un ascensore elettrico sono le seguenti:

  • Eliminazione del locale del macchinario o di quello per le pulegge di rinvio alla sommità del vano di corsa, con conseguente possibilità di utilizzare per uso privato i locali posti alla sommità dell’edificio o gli eventuali lastrici solari;
  • Possibilità di installare le apparecchiature di comando e di controllo dell’elevatore (quadro di manovra e centralina) in un locale di non grandi dimensioni vista la compattezza delle apparecchiature stesse e non necessariamente a diretto contatto con il vano di corsa;
  • Possibilità di scaricare l’intero peso dell’elevatore alla base dell’edificio, in genere in corrispondenza della fossa, potendo così alleggerire la struttura del fabbricato o non impattare sulla struttura nel caso di installazioni successiva alla costruzione dell’edificio;
  • Possibilità di ridurre l’altezza della testata poiché manca, al centro della cabina, l’attacco delle funi ed è minore lo spazio di extracorsa richiesto dall’impianto idraulico;
  • Eliminazione dei rumori, specie di quelli dovuti alle apparecchiature e al macchinario quando questo, trovandosi alla sommità del vano di corsa, è adiacente a locali abitati;
  • Realizzazione di avviamenti e arresti estremamente dolci e nell’ottima precisione della fermata ai piani;
  • Costo d’installazione che alcune volte è competitivo rispetto a quello degli ascensori elettrici.

Questa pagina è stata realizzata estrapolando le introduzioni dei vari capitoli del testo “L’ascensore idraulico” di Riccardo Paolelli. Ulrico Hoepli editore anno 1990 ed i cataloghi della COAM spa

L’ing. Riccardo Paolelli ci ha lasciato ormai da alcuni anni. Laureato in Ingegneria meccanica presso l’Università di Roma, ha lavorato all’ENPI ed ha partecipato a diverse commissioni prima presso il CNR e poi presso l’UNI.

Le competenze e la passione dell’ing. Riccardo Paolelli le si ritrovano tutte nei due principali testi da lui scritti ed ancora del tutto attuali che vi invito caldamente a leggere.

  • Ascensori e montacarichi elettrici di Riccardo Paolelli. Ente Nazionale Prevenzione Infortuni anno 1969
  • L’ascensore idraulico di Riccardo Paolelli. Ulrico Hoepli editore anno 1990