Porte e meccanismi automatici nei primi ascensori

I primi ascensori per il trasporto di persone, ritenuti sicuri per via della presenza di dispositivi di sicurezza contro la caduta della cabina, fanno ufficialmente la loro apparizione in America nel 1857 con gli ascensori di Otis Tuft installati in un Hotel e quelli installati da Elisha Otis in un centro commerciale.

In Europa si hanno notizie di ascensori installati già dal 1846 nelle miniere inglesi e nel 1847 ritroviamo un brevetto francese di paracadute, sempre applicato agli ascensori delle miniere.

L’improvvisa escalation dell’uso dell’ascensore è legata alla prima rivoluzione industriale, che ha portato molte attività produttive e commerciali a concentrarsi nelle città, a fianco della fabbriche nate grazie allo sfruttamento della forza motrice generata dal vapore. La grande concentrazione di attività diverse porta a dover ricercare nuovi spazi in verticale. Nascono così edifici adibiti a più scopi, attività di produzione assieme ad attività commerciali e residenziali. I palazzi iniziano a svilupparsi in altezza e l’ascensore è il mezzo perfetto per permettere la movimentazione verticale delle persone.

La tecnologia della prima rivoluzione industriale gira intorno alla macchina a vapore, azionata dal carbone, e l’industria, che alimentava le invenzioni era quella che girava attorno all’estrazione del carbone, ossia l’industria mineraria.

L’elettricità alla fine del 1800 è stata appena scoperta ed appaiono le prime invenzioni che la utilizzano. Ma occorrerà attendere i primi del 1900 perchè vengano applicate agli ascensori.

In piena prima rivoluzione industriale le invenzioni che girano attorno allo sfruttamento del vapore sono alla loro massima espressione, e la tecnologia costruttiva si basa su cilindri, valvole e cinghie di distribuzione.

E’ naturale attendersi allora che i primi ascensori siano azionati ad acqua e vengano mossi mediante lo sfruttamento della sua pressione all’interno di cilindri che, estendendosi mediante una serie di rinvii sulle funi che reggevano la cabina, muovevano l’ascensore. Quindi, i primi ascensori erano di tipo idraulico e l’energia fornita dai motori a vapore serviva per mettere direttamente in pressione l’acqua o per caricarla su serbatoi messi alla sommità degli edifici.

I primi ascensori andavano quindi ad acqua ed erano controllati da persone esperte chiamate “liftman” o “attendenti dell’ascensore”. Costoro dovevano avere una grande padronanza nel valutare la velocità della cabina e nell’azionare gli automatismi per muoverla, farla rallentare, per fermarla e per tenerla ferma durante le operazioni di sbarco.

Il movimento della cabina lo comandavano i “liftman” tirando una fune che passava all’interno della cabina e che era collegata a dei rubinetti che riempiendo o svuotando i cilindri permettevano alla cabina di muoversi in salita ed in discesa. Con queste funi gli attendenti controllavano anche la velocità della cabina e l’approccio ad ogni piano.

Un problema molto fastidioso e pericoloso, presente fin dall’inizio, è quello che adesso chiamiamo UCM (Unintended Car Movement) ossia movimento incontrollato della cabina al piano con porte aperte.

I primi ascensori disponevano solo di porte di piano ed avevano il problema che ogni piccolo movimento della fune di controllo poteva mettere in moto la cabina, ogni sbilanciamento della cabina con persone che entravano ed uscivano poteva mettere in moto la cabina.

Nacquero, quindi da subito, dei sistemi che, agendo direttamente sulla fune di controllo, o ancora meglio sulle guide di cabina, tenevano ferma la cabina durante le operazioni di sbarco delle persone. Altro problema da risolvere era quello dell’affidabilità del “liftman” nel ricordarsi di chiudere le porte di piano prima di ripartire. Questo problema era molto sentito perché le distrazioni potevano generare gravi incidenti per via di persone che, vedendo le porte di piano aperte e credendo che la cabina fosse presente, si gettavano involontariamente nel vano di corsa.

Non era ancora presente la “catena delle sicurezze” ed il controllo della chiusura delle porte poteva essere fatto solo per via meccanica, e/o idraulica, e sotto la supervisione del “liftman”.

Come vedrete in seguito, nella serie di brevetti americani (purtroppo negli archivi dei brevetti online, di quell’epoca troviamo solo tali brevetti) selezionati per mostrare l’evoluzione delle serrature e degli automatismi delle porte, il problema di rendere gli ascensori sempre più sicuri è sentito fortemente già dagli esordi. Nei brevetti si parla spesso di “progettazione positiva”, di “sicurezza positiva” ossia di dispositivi che in caso di guasto meccanico lasciano chiuse le porte di piano.

Nel Brevetto del 1885 di J. G. Meisner si vede come il “liftman” poteva decidere se aprire o no una porta di piano, tenendo tirata una funicella in corrispondenza del piano di arrivo.

Il “lifman”, quindi, con una mano doveva regolare la velocità e l’arresto della cabina mentre con l’altra doveva tirare una cordicella che permetteva ad un cuneo di ingaggiare un perno a rotella della porta di piano, affinché questo entrasse in una guida, che faceva aprire la porta di piano mentre la cabina si stava approcciando e la faceva richiudere mentre la cabina lasciava il piano. Siamo di fronte ad un sistema con preapertura porte.

Il sistema si interessava anche della serratura della porta di piano, che poteva essere aperta solo quando la cabina si trovava in prossimità del piano.

In pratica, tirando la funicella dalla cabina che si approcciava al piano, appena il perno della porta di piano veniva ingaggiato dalla slitta messa in posizione tirando la fune in cabina, anche un perno tenuto in posizione estesa da una molla agiva direttamente sul blocco di piano, aprendolo.

Questo sistema di apertura agiva sempre e per ogni piano, anche se la cordicella in cabina non veniva tirata.

I perni attaccati alla cabina per permettere di aprire la porta di piano erano due, uno sul tetto di cabina per l’approccio al piano in salita, ed uno sotto la cabina, per l’approccio al piano in discesa. Quindi, ogni volta che la cabina passava da un piano, la porta di piano poteva essere aperta due volte e si sentiva per due volte il rumore del perno P, montato sulla cabina, che intercettava il gancio G ed il blocco R per saltarlo.

Una variante dell’apertura della porta di piano mediante sagoma è quella che segue ad opera di A. Miller.

Questa volta il “liftman” non deve tirare una funicella, ma azionare una leva che mette in posizione una sagoma. Prima di arrivare al piano di sbarco il “liftman” mette la sagoma in posizione di apertura e poi si dedica alle operazioni di sbarco. La porta di piano, ingaggiata dalla sagoma, si apre.

La serratura di piano viene sbloccata da un meccanismo a pattino che, ad ogni piano, una volta ingaggiato, apre una serie di leve che fanno sbloccare la porta. Anche in questo caso siamo in presenza di un meccanismo che sblocca e riblocca le porte di piano, anche se ci passiamo senza fermarci.

Nel 1889 W. E. Nickerson si inventa un meccanismo “a precarica di energia” che apre le serrature delle porte di piano solo quando la cabina è arrivata al piano e si è fermata, eliminando così il problema dell’apertura dei blocchi di piano al passaggio della cabina.

Il sistema è più complesso e richiede attenzione da parte del “lifman” prima di approcciarsi al piano poiché deve ricordarsi di “caricare delle molle”.

Più nel dettaglio il “liftman” ha a disposizione due pedali: con uno aziona lo sblocco della porta di piano (che poi si apre automaticamente), mentre con l’altro aziona la “precarica” del meccanismo di piano e poi la richiusura della porta di piano.

Prima di arrivare al piano il liftman, premendo il pedale che aziona la richiusura della porta di piano, comanda una serie di leve che fanno mettere in precarica una molla L che, vincendo la forza di spinta di una seconda molla S adibita alla chiusura, permetterà l’apertura della porta.

Quindi dopo essere arrivato al piano di sbarco ed avere fermato l’ascensore il “liftman” aziona il pedale che sgancia il blocco della porta di piano e questa, per via della molla L, più la carica che gli abbiamo dato con il meccanismo che arriva fino al contrappeso P, riesce a vincere la forza della molla S e ad aprire la porta. La porta per via della molla L si aprirà ed avrà anche un rallentamento finale.

Per richiudere la porta di piano, il “liftman” deve premere il pedale che prima aveva precaricato la molla L, in questo modo la catena (che teneva caricata la molla L) torna indietro e la molla S di chiusura, che adesso ha il sopravvento, permette di fare chiudere automaticamente la porta di piano fino a bloccarla.

Se il “liftman” si fosse scordato di precaricare la molla di apertura della porta di piano avrebbe dovuto poi aprirla a mano.

Per tenere bloccata la cabina durante le operazioni di sbarco abbiamo a disposizione, per esempio, l’invenzione di W. B. Cabot e R. M. Bradley, che consisteva in un meccanismo che teneva bloccata la fune di controllo del movimento dell’ascensore fino a che la porta di piano rimaneva aperta. Il loro meccanismo poi permetteva di aprire il blocco della porta di piano solo con cabina presente al piano.

Un meccanismo UCM ancora più efficace, evoluzione del paracadute di Otis, con sistema a tacchetti è quello inventato da D. Moulton.

Il sistema di sicurezza di Doulton agiva sia da dispositivo UCM al piano sia da sistema paracadute.

Il sistema in pratica bloccava la cabina su delle guide preformate con denti da ingranaggio.

Se il “liftman” comandava dall’interno cabina, mediante un verricello, il posizionamento dei due ingranggi intermedi, in modo da prendere da un lato l’ingranaggio lato guida e dall’altro l’ingranaggio lato cabina, che era quindi impossibilitata a muoversi, perché i due ingranaggi periferici agivano sull’ingranaggio centrale con forze opposte.

Allo stesso modo, se la fune che teneva appesa la cabina si fosse spezzata, l’ingranaggio intermedio si sarebbe contrapposto (mediante molle), ai due ingranaggi periferici, bloccando la cabina.

Nel 1887 troviamo esempi dei primi utilizzi dell’energia elettrica come ausilio al controllo del posizionamento delle serrature di piano.

Non stiamo ancora parlando di controllo del movimento della cabina permesso solo se la “catena delle sicurezze” ha i blocchi di piano chiusi: non abbiamo ancora la “catena delle sicurezze” elettrica.

Stiamo parlando di un allarme che suona se la cabina si trova fuori piano con una delle porte di piano aperte.

I dispositivi di blocco al piano adesso però integrano un contatto elettrico che si chiude se il blocco di piano rimane aperto. In questo modo, se la cabina si trova fuori piano con una porta aperta, si chiude il circuito elettrico che fa suonare una campanella elettromeccanica.

Con cabina in zona piano, invece, un contatto che si apre permette di tenere aperto il circuito di allarme ed, aprendo la porta di piano in corrispondenza della cabina, l’allarme non suona.

Tra le varie soluzioni cercate e adottate per gestire l’apertura automatica delle porte di piano, segnaliamo anche quella proposta da W.A. Ingalls nel 1883.

Questa invenzione consiste in una tapparella che si avvolge in un senso e svolge nell’altro senso in maniera automatica, sfruttando direttamente il movimento della cabina e dei contrappesi.

Questo sistema doveva essere il terrore delle madri o delle bambinaie.

Nel 1903, grazie ad esempio a J. Chambers Jr., ritroviamo i primi “operatori porte” ad azionamento elettrico.

In questo caso si utilizza una coppia di elettromagneti che, attirando un perno, mettono in movimento una serie di leve che si accoppiano con la porta di piano e la aprono. Il dispositivo è provvisto di una serie di finecorsa elettromeccanici, accoppiati direttamente al tamburo del motore, che permettono l’apertura e la chiusura del dispositivo solo con cabina in zona piano.

Questo operatore poi includeva anche un meccanismo automatico dello sblocco della porta di piano.

Con l’utilizzo dell’elettricità per controllare gli ascensori iniziamo a trovare anche nelle serrature di piano i primi contatti elettrici.

Nella seguente invenzione di J. E. Boyce e L. Shonnard ritroviamo i concetti delle tipiche serrature di oggi:

un sistema di leve che permette lo sblocco al piano tramite pattino retrattile, contatti a ponte asportabile e blocco meccanico.

Un esempio di operatore azionato da un motore elettrico con porta di piano mossa mediante un accoppiamento ed un sistema di ingranaggi a cremagliera lo ritroviamo nell’invenzione del 1903 di H. M. Jenkins.

Questo sistema è dotato di finecorsa ed è azionato dall’operatore in cabina mediante un selettore. L’accoppiamento con la porta di piano permette in contemporanea anche il suo sblocco.

Un altro esempio di porta di piano azionata elettricamente mediante elettromagneti posti questa volta direttamente ad ogni piano la ritroviamo nell’invenzione di J. Chambers Jr. questo dispositivo ha poi la particolarità di essere dotato anche di una elettroserratura per bloccare la porta di piano.

Poiché nel 1913 la tecnologia del vapore la fa ancora da padrone non mancano invenzioni dove si strutta la forza vapore o la pressione dell’acqua per automatizzare le porte di piano mediante dei sistemi a pistoni come per il brevetto di H. C. Randall

Considerato poi che gli impianti elettrici nel 1910 sono praticamente ancora tutti a tamburo perché non sfruttare il principio dell’argano a tamburo anche per automatizzare le porte di piano?

L’inventore T. Nakahara presenta la sua invenzione dove la porta di piano viene aperta mediante una fune che si avvolge su di un tamburo e viene richiusa svolgendo la fune aiutati da un contrappeso. Anche in questo caso ritroviamo i finecorsa ed una elettroserratura per lo sblocco della porta di piano.

Nel 1916 gli ascensori azionati direttamente da un circuito elettrico stanno iniziando a spopolare e nell’invenzione di P. F. Foley ritroviamo tutti i principi che stiamo ancora utilizzando.

Abbiamo una serratura di piano aperta mediante un pattino retrattile, abbiamo ponti asportabili ed un elettromagnete che governa il pattino retrattile.

Segue un altro esempio di controllo dell’apertura delle serrature di piano mediante pattino retrattile

Non poteva mancare l’operatore porte con vite senza fine.

Nel 1917 ritroviamo un’invenzione di A. H. Otis di un operatore porte dove la porta veniva mossa da una fune tirata da un dado posto su di una vite senza fine azionata da un motore elettrico comandato dalla cabina.

Nel 1917, ad opera di L. T. Weiss ritroviamo un esempio di un tipico operatore a braccio azionato direttamente da un motore elettrico. In questa invenzione ritroviamo anche l’accoppiamento con la porta di piano mediante rotella e due slitte.

Ovviamente, avendo aperto la strada ad una nuova tecnologia, nel caso in cui fosse necessario aprire due porte contrapposte basta duplicare i bracci dell’operatore come nel caso dell’invenzione di H. F. Franklin del 1918. I due bracci vengono movimentati in posizioni opposte mediante un motore ed un ingranaggio con vite senza fine e corona. L’accoppiamento alle porte di piano avviene sempre mediante una coppia di guide

Per finire, perché non sfruttare anche le catene collegate ad un motore elettrico con pignone per movimentare una porta?

Anche nell’invenzione di J Kurimoto del 1916 ritroviamo tutti i principi degli attuali operatori porte a cinghia o a catena.

Di invenzioni del genere ce ne sono state in contemporanea diverse anche in Europa ed in Italia ad opera dei nostri produttori dell’epoca; purtroppo solo le invenzioni americane sono state digitalizzate e rese pubbliche su internet mediante il servizio di Google patents.

In Italia, per esempio un primo operatore elettrico con sistema a braccio e cinghie con rallentamento, anche per porte tonde, lo ritroviamo inventato dalla azienda storica ancora operante Damiano ascensori di Genova.

Fonti: brevetti pubblicati su https://patents.google.com/

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